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Chi

prefente fecolo, per qualche fatto notabile, e per qualche gran benefizio, da le Repubbliche ò da le città bene inftituite in fegno di gratitudine, porfi ftatue e coloffi, a perpetua memoria de' loro benefattori; qual benefizio può effer maggior di quefto, donde dipende la confervazione de l'honore, de le facoltà, e de la vita? Non fò, fe maggiore, o tal foffe il benefizio, che fece Cicerone alla Romana Republica, allora che scoperfe la congiurazione di Catilina: nondimeno meritò d'esfer da quel prudentiffimo Catone Padre della patria nominato. Non fapete voi, che la fomma e perfetta gloria confifte in tre cofe? cio è, che la multitudine ci ami, e si fidi di noi, e che con meraviglia delle nostri virtù penfi, che noi siamo degni d'honore. adunque potrà dire, che voi non fiate perfettamente gloriofo? poichè con la esperienza fi vede, che per giudizio univerfale, così li nobili, come li popolari, come perfona, che più amano, 'di cui più fi fidano, che più stimano degna d'onore e di riverenza, v'hanno eletto à questa impresa. Quanti sono stati e ne' presenti, e ne' paffati fecoli, che per lasciar onorata memoria di fe, con men bella e men lodata occafione, fra l'arıni, fra 'l fuoco, fono andati ad incontrar la morte? senza fperanza d'altro guadagno, che di questa gloria; laquale peraventura non è ne vera ne fomuna gloria, come farà quefta voftra. Questa è imprefa, nella quale fervite à Dio, fate benefizio alla patria, ai parenti, agli amici, ed alla voftra pofterità; nella quale non folo non offendete il Rè voftro, ne cagione li date di dovervi ne riprender, ne caftigare; mà li fate fervizio, utile, ed honore, facendolo Signor degli animi e della volontà degli uomini; che l'effer Signor delle robbe piu tolto fi conviene à tiranno, che à legitimo Signore.

Pigliate

e

Pigliate forfe imprefa difficile, o pericolofa? Certo nò, mà facile e ficura. Non andate per offender fua Maeftà, per levarle l'ubbedienza di questo regno, per follevarle li popoli, ne per fare altri effetti simili; mà per confirmar gli animi delli fudditi nella folita fedelità; per acchettare i tumulti, e per accrefcer la divozione e la fede loro. Vi mancano forfe ragioni non apparenti, mà vere, non probabili, mà neceflarie, fondate ful fervizio di Dio e della religione, ful be nefizio di fua Maeftà, e ful utile di quefto regno? O ê forfe fua Maeftà un principe barbaro, empio, e non capace di ragione? Non conoscerà egli, che niuna cofa è più atta à la confervazion delli stati e degli imperi, che l' eller amato, e niuna più contraria, che l'effer temuto? Non faperà, che s'ha in odio colui, che fi teme, e che agli odii di molti niuna potenzia, per grande che fia, possa refiftere lungamente? Che fine potrà muovere il prudente animo di S. M. à voler far quefto? Se la religione; quefta città è delle più antiche, che conobbero Christo; e quella, che di fecolo in fecolo confirmandosi nella fua fede, e nella fua religione, ha con tante operazioni Christiane, e pieni di fede e di carità, dato effempio all' altre, e perfuafele ad eller tale. Quale è quella città, non pur in Italia, mà in Europa, dove fiano tante chiefe ben inftituite e governate, tanti luoghi pii, dove fi faccino tante elemofine, tante opere caritative e christiane? Il voler negare, che in questo regno, come in altri luoghi, non ci fiano de' trifti, e che meritino effer caftigati, farebbe un contradir al vero, ed un moftrar temerariamente d'effer troppo degni della grazia di Dio. Mà questi si possono caftigar per la via ordinaria conftitutaci degli Imperadori, dalle leggi, e dalle buone, confuetudini. Che à questo modo i trifti folamente si caftigheranno, dove à quell' altro fi punirebbono più

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li buoni, che li trifti. Io non voglio muovervi molte altre ragioni da poter perfuader S. M. perchè fono tante, e fi negli occhi d'ogn' uno, che farei troppo ingiuria alla vostra prudenza, à voler ricordarlevi. Il danno, che vi potesse venir di questa cosa, farebbe picciolo; e voftro particolare, in comparazion de l'util grande, che ne tornarebbe in univerfale à questo regno. E voi come Cavaliere magnanimo e mág virtuofo, avete da preporre il benefizio univerfale al privato. Mà qual danno potrebbe effer così grande, che non fia maggior l'utile, che ne fentirete? Moftrando al Rè vostro l'amor, che vi porta questo po, polo; la fede, che ha in voi; il rispetto, che v'ha la nobiltà, e la riverenza, che vi porta tutto questo regno; moftrandoli, che non ha miglior ministrò ne iftrumento di voi per confervar questa città e questo regno nella fede e divozion fua, per perfuaderli à fodisfare à qual fi voglia defiderio, bisogno, ò neceffità fua? E potrebb' esser di legiero, che quella ripu tazione, e quel credito, che non avete per mala fortuna voftra potuto acquistar presso di lui, con tante fatiche, ch' avete prese, con tanti pericoli, ch'avete corsi, ne con tante spese, ch' avete fatte in servizio fuo, l'acquistaste con questo mezzo? E quando non ne guadagnaste altro; accrefcereste, se accrescer fi può, e l'amor che vi porta questo regno, e l'obligo, che v'ha; fervirete à Dio, fodisfarete, à la confcienza voftra, ed à l'efpettazione, che ha di voi tutto il mondo; e mostrarete tanto maggior virtù, quanta farà minor la fperanza del premio; di forte che vi potrefte, come potete, prometter degli animi e volontà di questo regno qual fi voglia cofa. Mi rendo certo, valorofiffimo Signor mio, che se vedeste una bella vergine da voi amata ardentiffimamente, fcapigliata, e lagrimofa, in "pericolo del onor, e della vita, ad alta voce chiedervi foccorfo,

foccorfo, che voi, che fiete d'animo nobiliffimo e gentile, fenza timor di pericolo ò di danno, correrefte ́pronto ad aiutarla. Questa è quella bella vergine, la quale ragionevolmente fopra tutte l'altre cofe deve effer amata da voi, poichè ad alta voce in aiuto vi chiama. Non mancate al fuo bifogno; ne fate ingiuria al vostro nobil animo, datovi dalla natura à fimili ope razioni di virtù e di grandezza. Vostra Eccellenza perdoni all'ardir mio, e pigli di quefto mio parere più tofto il buon' anino, che le belle ragioni.

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grazia? Voi v' ingannate; io vi fono obligatiffimo, e di vero cuore ringrazio voi, il Disegnatore, e qualunque ha avuto mano in quella faccenda. Ognuno di voi ha cercato di farmi cosa grata, e il cuor mio dee riconoscere l'intrinfeco voftro, e ringraziarvene. Ma io non poffo negarvi, che a questo mondo non ci fieno altre perfone, che darebbero per un ritratto la propria testa. Penserefte voi mai ch' io ne poteffi avere quel giubilo che avrebbe del fuo ritratto una Donna? Ne vedeste voi mai a difegnare alcuna? Lafciamo stare tutti gli apparecchiamenti prima, che giunga il Pittore; quante volte la fi mira allo Specchio per inventare un' attitudine da sè, e com' ella fi guarda in faccia, e poi da tutti i due lati e con la coda dell' occhio. Finalmente quando il Pittore la fa federe e le dice: State cosi, o così, allora è un dolciffimo vedere, com' ella s'adatta alla volontà dell' artifice, e che rifolino mantiene fra le labbra, e com' ella ad ogni fegnuzzo, ch' egli fa fulla carta, o fulla tela aballa l'occhio furtivo, per fapere quello, che ne ricerce: e fe altri le fono intorno, che vogliano vedere il difegno, ella moftra di non curarfene, benchè ne fcoppi di voglia. Di tempo in tempo ella dirà al disegnatore. Voi avete un cattivo originale, egli mi difpiace per voi, che non potrete farvi grande onore. Ma non la credete, perche s' egli dipingeffe un Agnolo, le parrebbe ancora, che l'originale foffe migliore. Quefte, Occhi mio foaviffimo, fono quelle perfone, alle quali fi dee fare il ritratto, che ne godono, ingrassano, inostrano fuori pegli occhi, e per tutta la pelle il piacere che n' hanno. Cosi c'è qualche giovanotto, il quale dopo d' avere adoperate fopra di fè tutte le usanze de' vestimenti, tutte le forme dell' acconciarfi i capelli, e logorate tutte le invenzioni de' Sarti e de' Parrucchieri, vuole finalmente vedere quello ch' egli pare acconcio, e vestito da una fan

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