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III.

Italiänische Gespräche.

Alga

r ott i.

Es fehlt den Italiånern nicht an prosaischen Dialogen mans cherlei Art und Inhalts. Vielmehr war dieß gerade eine ihrer ehemaligen Lieblingsformen sowohl beim Vortrage wissenschafts licher Dinge, als bei der Erörterung moralischer und andrer Ges genstände, die sie aber eben dadurch bis zur äussersten Ermås dung ausspannen. Für den heutigen Geschmack giebt es in dies sen Gesprächen wenig Nahrung. Ich habe ihrer eine nicht kleine Anzahl vor mir, z. B. von Speroni, Guazzo, Gelli, Firens zuola, Borgagli, Paruta, Cafoni, u. a. m., aber ich finde nichts darunter, was neben den bisher mitgetheilten Proben zu ftehn verdiente. Eine Ausnahme würde ich mit den Dialogen des Macchiavelli über die Kriegskunft und den mehr unterhals tenden des ältern Grafen Gozzi machen, wenn nicht der Juhalt der erftern hier zu fremdartig wåre, und man Proben der legs tern in den Chrestomathien, von Gaudio und meinem Freunde Ebeling zur Hand håtte. — Um aber doch wenigftens Ein Beis spiel in dieser Sprache zu geben, wähle ich das Schlußgespräch aus den bekannten, und in mehrere Sprachen überseßten Dialvgen des Grafen Algarotti über die Newtonsche Optik, die zus erft schon im J. 1737 unter der Aufschrift Il Neutonianismo per le Donne erschienen, und hernach sehr oft, auch im ersten Bande seiner sämmtlichen Werke, wieder abgedruckt sind. Der Inhalt dieses, jenen sechs Dialogen angehängten Gesprächs, ift Die Erklärung, wie es komme, daß wir die Gegenstände, die auf den Kopf gekehrt ins Auge fallen, dennoch aufrecht, und nur Einen Gegenstand sehen, ob sich gleich im Auge zwei Bilder entwerfen.

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CARITE A.

Dialogo.

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Non è ancora molto tempo pallato, che trovandomi io in Venezia, vi connobbi una Donna di gran legnaggio per nome Caritea, che avea quivi fermato fua stanza. Di molto, e non ordinario ingegno era fornita; e non avea ftinato disdirfi à una Daina cercar di quelle cognizioni, che sono più atte ad ornar l'ingegno, che altri da natura ha fortito. Con picciola e scelta brigata era folita trapassar la fera in varj e piacevoli ragionamenti, ne' quali framettevali talvolta alcuna bella quistione.

Una fera trovandomi io folo con esso lei, mi parve vederla alquanto pensierofa: e fattomi ardito di gettare fopra di ciò alcun motto, ed anche di domandarnela del perché: Vi ho io a confidare, ella fi fece a dire, un gran fecreto; che io quefti paffati giorni mi sono data alla Filosofia. Ohimè, Madama io rifpofi fubito, che questa Filosofia non aveffe a fare a noi un mal gioco, rendendovi aftratta, e forfe anche folitaria. Oh per quefto, ella riprefe a dire, non abbiate timore alcuno. Sappiate del resto, che questi passati giorni io sono stata in voftra compagnia più che mai. Furono da me letti i voftri Dialoghi fopra P'Ottica; e non vi ftaro a dire, fe con mio diletto. Molte cofe vi ho imparate, o almeno così mi giova credere che fia. Se non che facendo confiderazione sopra quello che voi dite intorno alla ananiera onde noi vediamo, molto ancora mi rimane di ofcuro. La voftra Marchefa domandò già a voi medefimo una chiofa fopra quei vostri verfi, a cui noi

hamo debitori del vostro libro. Sia ora lecito a me domandare una qualche chiofa fopra il libro medefimo, e moftrare più di curiofità che non fece la voftra Marchefa. Confiderando al modo che noi vediamo, l'occhio nostro rassomiglia perfettamente, come da voi si defcrive, a una Camera Ottica. Mercè di un pertugio, che fi fa in una stanza, e di una lente che vi fi pre-, fenti, fi dipinge in un foglio di carta, che fia dietro alla lente, la immagine di quegli oggetti, a'quali guardano il pertugió, e la lente. E lo ftello avviene, nell'occhio noftro; mercé della retina, dell' umor cristallino, e della pupilla. Niente di più chiaro: se non che in ciò mi fi parano innanzi due difficoltà, che voi, fon ficura, mi fciorrete agevolmente. Ond è che essendo nell' occhio, come nel foglio di carta, di pinti capovolti gli oggetti, da noi fi veggono diritti? E ond' è che guardando noi pure con due occhi, e ricevendo però dell' oggetto due immagini, un folo cià non ostante vediamo l'oggetto?

Madama, io rifpofi, io già mi mostrai con la mią Marchesa alquanto ritrofo ad entrare in discorsi di Filofofia, temendo non la cosa dovele condurmi, come di fatti avvenne, troppo in lungo. Con voi io potrei ve ramente scanfarmi da un difcorfo, che non è il più pia cevole che tenere fi poffa con una Dama, dicendovi che le quiftioni, che voi inovete, parvero a un Filofofo acutiffimo, per nome Ugenio, *) cotanto alte, da non effer lecito all' uomo il tentare quell'altezza, e cercarne il perchè. Fate pur conto, ella rifpofe, che io sopra di ciò non vi abbia fatto parola. Io dovrò pure effere contenta di rimanermi in una ignoranza, che avrò a comune co' più grandi filofofi.

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Ma fe io vi diceffi, Madama, che il maggior lumè in tali materie ce lo han dato non i filosofi, ma gl idioti; e quello che è più maraviglioso ancora, non i meglio veggenti, mà i ciechi?

State a vedere, diffe forridendo Caritea, gli orbi di Parigi, che in tempo di nebbia mostrano altrui il cammino, e guidano a cafa le perfone fmarrite per via. Fatto fta, io riprefi a dire, che non avremmo forse comprefo mai, come da noi diritti fi veggono gli oggetti, de' quali nell' occhio capovolta è la immagine, fe ad alcuni ciechi nati stata non folle, mercè l'arte della Chirurgia, data la vista; ed essi poi non avessero poco a poco imparato a conoscer le cofe, mediante la facoltà vifiva, a difcorrervi fopra, a recarne giudizio. Una delle cagioni della cecità, da che pur troppo i mali d'ogni genere hanno aperte più ftrade, è la cataratta, che fi forma nell'occhio. Ciò vuol dire che l'umor cristallino, per la non buona temperie, o circolazione dei fluidi, fi viene alterando per modo, che di trasparente diventa opaco. Con che tagliata è la via a' raggi, che trappaffando per effo andavano alla retina; e fopra di quella non fi forma più immagine veruna degli oggetti. Ora quel vizio, che comunemente contrae l'occhio coll' andar del tempo, altri lo può portare dalla nascità; e quefti è cieco nato. Ma fia che l'uomo nafcia cieco nel modo che abbiam detto, o nel divenga poi, un folo è il rimedio al malor fuo. E quefto fta nel deprimere, o confinare in basso, ed anche nello estrarre P'umor cristallino, che se ne fta fofpefo dinanzi alla pupilla. Non potendo la medicina riftituire a quell' umore la sua trasparenza, ecco la Chirurgia che lo leva di mezzo, e toglie a' raggi, ch'entrano per la pupilla, quell' intoppo,, che per giugnere fino alla retina, incontravano a mezza via. E così dentro all' occhio del

cieco fi verfa, al dire di un poeta, il dolce liquor della luce. Dagli altri due umori, che rimangono nella cavità dell' occhio, l'uno de' quali dicefi acqueo, e vi, treo l'altro, amendue meno densi del cristallino, e più denfi dell' aria, vengono i raggi ad effere alquanto refratti, coficchè andando quafi a concorrere insieme, pollono dipinger fulla retina una tal quale immagine degli oggetti: E a rendere tale immagine distinta, si piglia in aiuto una lente di occhiale, la quale al di fuori dell' occhio fa quelle veci, che faceva dentro da esso la lente, o fia l'umor cristallino. Ora non ha moltiffimo tempo, che un bravo Chirurgo Inglese, per nome Cheselden, depreffe ad alcuni ciechi, nati la cata, ratta, e fingolarmente la depreffe a un giovine di allai piacevoli costumi, e d'ingegno rifleffivo dotato, e che spasimava, si può dire, della voglia di vedere.

Qual piacere, qual rapimento, ella diffe allora, non dovette egli veramente provare non dirò allo apri re, ma all' acquisto degli occhi!. Altro che viaggiare in lontani paefi, vedere abeti o palme in luogo di gelfi, e in luogo di cappelli il turbante. Un mondo del tutto nuovo gli si spalancò dinanzi, tolto che gli fu il sipario, che glieio nafcondeva. Che prò, io rifpofi, fe dal bel principio gli oggetti' gli sembravano tutti posti di un modo, fe il mondo vifibile a lui fi rappresentava come una tela variamente pezzata di luce, di ombra, e di colori, che diftefa gli foffe rafente gli occhi, fulla quale né l'una cofa poteva diftinguere dall' altra; nè niuna per effo lui fi riconosceva? Come ciò? disse Caritea. Madama, io rifpofi tofto, piacciavi avvertire, che delle cofe egli non può avere altre idee falvo quelle, che gli hanno fornito il gufto, l'odorato, l'udito, il tatto di tutti i fentimenti il più gagliardo in ello noi, per cui i ciechi conoscono le qualità degli oggetti, che fono a

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